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Garden Club

Tre doti di una gita 2005 indietro

Tre doti di una gita di Laura Montanari


E’ il 13 ottobre. Una giornata autunnale da manuale, chiara di sole e fresca di brezze.
L’estate, e il mare, sono alle nostre spalle, ormai senza rimpianti, mentre risaliamo –
serpentone disarticolato di auto - le falde del nostro Appennino, alla volta di Tredozio.
Noi del Garden Club di Ravenna apprezziamo qualsiasi stagione, sappiamo riconoscere
in ciascuna le tracce distintive di una natura che, mutando, sempre ci sorprende
e ci affascina, e quindi siamo di buon umore, quasi allegri.
Il paese di Tredozio, più o meno

panorama di Tredozio

lo conosciamo tutti, perché lo abbiamo attraversato diretti a.., o abbiamo fatto tappa al bar, ma sappiamo che “una visita guidata” crea con i luoghi un rapporto più profondo, e magari ci regalerà qualcosa di inedito.
L’accoglienza è calda, addirittura in grande stile: non solo a Piazza Vespignani ci viene incontro sorridente la giovane guida Barbara (si è laureata presso la nostra Facoltà di Conservazione dei Beni culturali a Ravenna!),ma anche veniamo scortati, da quel primo momento in poi, dall’Ispettore Bruno Boni e da una giovane Guardia del Corpo Forestale dello Stato !
E addirittura, veniamo informati che si può leggere sul giornale – il Corriere di Forlì – la notizia della nostra escursione a Tredozio, da intendersi come una sorta di “gemellaggio” !

Dalla fontana della piazza, che racconta nel bronzo la leggenda delle “tre doti” (messi, greggi, boschi) a cui rimanda il nome di Tredozio ( più attendibile, ma meno affascinante la derivazione dal “Castrum Treudacium”!), percorriamo a tappe le vie del paese, in fila aperta, a passo lento, perché la serenità del luogo ci ispira.
Un’occhiata al fiume Tramazzo, che ci compare tra una stradetta e l’altra, con il suo scenario di verdi rivali, con tanto di ponticelli e di anatre in libertà, ci conferma che fa bene sfuggire alla frenesia della città, appena si può.
Scopriamo via via le tracce di una storia remota ( In Municipio, in mostra reperti dell’età del bronzo! Oltre un vicoletto a volta, uno scorcio di abitato medioevale !),ammiriamo preziosità d’arte e architettura (il delizioso Oratorio dalla facciata in cotto, con il suo tesoro della Beata Vergine delle Grazie; l’essenziale struttura dell’antica Pieve di S.Michele… ),
ma anche facciamo tappa a curiosare davanti alle vetrine di piccoli negozi di fiori, di antichità, e non rinunciamo al gusto del pane appena sfornato!
Ma soprattutto ci abbandoniamo al fascino del giardino-Eden che spazia, inimmaginabile, al di là della elegante e sobria facciata del secentesco Palazzo Fantini ! "Un giardino all’italiana” da catalogo ci appaga la vista e i sensi, sia nel suo abbraccio d’insieme – una composizione geometrica, armoniosa – sia nella varietà dei suoi singoli tesori.
I boschetti di alberi dai robusti tronchi muschiosi, lecci, ippocastani, tigli, pioppi.., ma in particolare uno splendido cedro atlantico, che apre i suoi alti rami a ombrello, maestoso, regale. Un groviglio cromatico di dalie. Le ninfee rosate in vasca zampillante. Aiuole e bordure di allegri fiori stagionali , che macchiano di colori il verde compatto delle siepi di bosso e dei prati. L’angolino, apparentemente modesto, delle erbe aromatiche.
Le cascate di edera a copertura dei muri del palazzo, di per sé decorativi, perché a strisce color ocra e rosso….
Come trovare la forza di andarsene? E’ solo l’ autorevole, se pur gentile invito dell’Ispettore, che ci sospinge all’uscita: con l’omaggio di una dalia appena recisa ci portiamo via un po’ della magia del giardino.
Il ritorno alla piazza valica il Tramazzo e camminiamo lungo un viale alberato, su un letto crosciante di foglie.
La tappa successiva ci porta a godere a pieno del paesaggio collinare nella sua prima veste autunnale (pennacchi di rosso, di arancio e di giallo nella fitta boscaglia verde che circonda il verde Lago di Ponte), ma anche di una specialità gastronomica che ci aspetta, calda calda, al Rifugio dell’Alpe: il “bartolaccio” !
Il nome ci resta misterioso, ma scopriamo presto gli stuzzicanti sapori dei tre P ( patata, pecorino, pancetta) dei bartolacci, più volte serviti a gran richiesta.
La passeggiata a piedi diventa d’obbligo, dopo la scorpacciata, ma in realtà è attesa con piacere: appena fuori dal rifugio si fa conciliabolo attorno all’Ispettore Boni, per decidere l’itinerario (in base ai piedi, ai pesi, all’età) e poi…in marcia.
Siamo alle soglie del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi ,
e l’impressione d’insieme è quella di una full immersion nella natura.
I più agili si affidano a Gabriele, nelle vesti non più di efficiente “maitre” del Rifugio ma di appassionata ed esperta guida escursionistica; grazie a lui, alberi arbusti ed erbe del sentiero prendono un nome e si vive la suggestione dell’avventura:
il lupo, ritornato a frequentare l’Appennino, potrebbe comparire dal folto del bosco!
I più tranquilli seguono il sentiero attorno al Lago (’Ispettore pazientemente informa, raccomanda, sorregge nei guadi) e poi passo passo se ne tornano verso il paese;
lungo la strada, visioni inedite per gli occhi abituati a vedere la città, soste davanti a case isolate, per ammirare una meridiana o un piccolo presepe in cappasanta, per comprar castagne appena raccolte o anche solo per “ far due chiacchiere” cordiali con gli abitanti.
La fatica dei chilometri si dimentica.
All’ultimo chilometro dal paese, si congeda da noi l’Ispettor Boni: la sua premurosa assistenza ha certamente superato il tempo previsto. Sono le cinque del pomeriggio, e il sole dietro le colline traccia scie di arancio sulla vallata.
In Piazza Vespignani i due gruppi di gitanti si ricompattano e sono tante le cose da raccontarsi vicendevolmente.
La serenità e la soddisfazione di tutti si legge sui volti e nei gesti.
Una bella gita.
Come nella leggenda, Tredozio ci ha dispensato “tre doti”:


una generosa accoglienza,
bellezze d’arte e di natura,
benessere fisico e di spirito
 
.

 

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