Michela Mollia - Città invisibili, Rose impossibili indietro
Città invisibili, rose impossibili
su testi di Italo Calvino
Progetto e colonna sonora: Michela Mollia
Immagini ed elaborazione visiva: Josè Angel Chavez-Guerrero
Questo progetto nasce da una libera lettura del libro di Italo Calvino, Le città invisibili (1993) che si presenta come “una serie di relazioni di viaggio” che Marco Polo fa al Kublai Kan, imperatore dei Tartari.
Marco Polo descrive al suo imperatore 55 città fantastiche; questo nostro progetto ne traduce liberamente in immagini, tre: una città la cui realtà si riflette , capovolgendosi: una parte sublime rivolta al cielo e un’altra inquinata e sporca rivolta al basso; una seconda città è caratterizzata dall’acqua, dalla ascesa di tubi, pale di mulini a vento, gru, belvederi ma dove la bellezza della verticalità si trasforma in pauroso precipizio da cui deriva la necessità di tessere una rete di passaggio e di sostegno; mentre una terza città è caratterizzata dall’oro massiccio, dalla brillantezza dei gioielli, dalla preziosità di un tappeto. È quest’ultimo un luogo dove il cielo stesso vi si specchia, la notte stellata è una punteggiatura/tappeto di luminosissimi gioielli.
Mai come ora è necessario non dimenticare che anche le risorse di una fantasia creativa possono essere di grande aiuto: a questo “imperatore malinconico”, consapevole della fragilità del suo potere dovuta ad un mondo che sta andando in rovina, il viaggiatore visionario Marco Polo racconta di “città impossibili”.
Ma che cosa è la città per noi? Se lo chiedeva Calvino una trentina d’anni fa e con maggiore apprensione ce lo chiediamo noi, oggi. Le città sono sempre più invivibili e si deteriorano, si consumano così come si distrugge l’ambiente naturale. “La crisi della città troppo grande è l’altra faccia della crisi della natura” ci ricorda Calvino.
Per non voler insistere ulteriormente su un messaggio catastrofico (e ne avremmo purtroppo ben ragione!) abbiamo provato ad inventare, sulla base della memoria, dei desideri e soprattutto della fantasia, partendo da tre città esistenti (Dubai, Puebla e Ravenna) - un percorso immaginario tra tende che sventolano, città sospese, porte d’alabastro, precipizi e foreste di tubi e città d’oro massiccio dove possano trovare dimora illusoria anche le rose, bellezze inaspettate e ideali.
Il tragitto si dipanerà lungo la proiezione di immagini fotografiche di luoghi reali resi però irreali, attraverso l’elaborazione fotografica, dalla presenza di elementi inaspettati, incongrui all’apparenza ma fortemente connessi tra loro.
In questo oscillare tra sogno e realtà, al termine del nostro viaggio guarderemo alle costellazioni in cielo, da cui gli astronomi interpretano il futuro con i segni dello zodiaco.
Traccia
Tre temi: il ruolo della memoria, della musica e delle trasformazioni delle immagini nella concezione di questo video.
Attraverso la memoria ricordiamo gli eventi del passato, ma questa facoltà non garantisce una restituzione accurata e precisa dei nostri ricordi. Spesso, con l’andar del tempo, possiamo confondere un luogo con un altro, una persona, un luogo, una stagione. Potrebbe essere che più o meno volutamente tendiamo a dimenticare o a trasformare. Nel resoconto di Marco Polo accade la stessa cosa con il contributo ricostitutivo del racconto da parte dell’imperatore, che appunto ricostruisce in altro modo sostituendo spostando o invertendo elementi.
Inutile quindi pretendere la verità, la precisione da qualcosa che è labile, evanescente, fluttuante come può essere la ricostruzione dell’originale. Ciò che conta è l’interpretazione, l’apparizione fugace, la condizione di spaesamento provocata dal confluire di sensazioni differenti. Ed è questo lo spirito con cui le immagini sono state elaborate.
La musica si muove su due piani, quello concreto del rumore (l’ingranaggio, il gocciolìo, il verso degli uccelli, il cigolìo, il caricamento degli orologi). Il rumore ci riporta con i piedi per terra, alla concretezza della realtà, a ciò che può diventare simbolico solo se in relazione con qualcos’altro (l’immagine). D’altra parte il suono fascinoso della musica elettronica di Vangelis coinvolge e avvolge. Qui si presentano tre momenti della colonna sonora di un film ormai cult movie come Blade Runner del 1982. La fantascienza contribuisce al formarsi della dimensione dell’altrove, di un tempo non presente, facendoci muovere con la fantasia, con l’irrealtà.
L’inizio della frase finale del film (I've seen things you people wouldn't believe… Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…) anch’essa entrata nella storia del cinema, non può non richiamare alla mente il nostro Marco Polo, che anche lui, ha visto cose a cui è difficile credere. Ricordi che “andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”.
TESTI
“Viaggi per rivivere il tuo passato?” “Viaggi per ritrovare il tuo futuro?”
“L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà”.
MINUTO 1’26”- Dubai emerge dalle nubi come città spaziale insieme a tendoni del circo, giostre e l’otto volante.
“Eppure io ho costruito nella mia mente un modello di città da cui dedurre tutte le città possibili – disse Kublai. Esso racchiude tutto quello che risponde alla norma. Siccome le città che esistono si allontanano in vario grado dalla norma, mi basta prevedere le eccezioni alla norma e calcolarne le combinazioni più probabili”
MINUTO 2’55”- Ravenna sulle palafitte.
Di ritorno dalle missioni cui Kublai lo destinava, l’ingegnoso straniero improvvisava pantomime che il sovrano doveva interpretare: una città era designata dal salto d’un pesce che sfuggiva al becco del cormorano per cadere in una rete, un’altra città da un uomo nudo che attraversava il fuoco senza bruciarsi, una terza da un teschio che stringeva tra i denti verdi di muffa una perla candida e rotonda.
MINUTO 3’49”- Ravenna, la Darsena, porto canale. Una città si costruisce e intanto il suo riflesso nell’acqua rivela una città completamente differente.
Non sempre le connessioni tra un elemento e l’altro del racconto risultavano evidenti all’imperatore; gli oggetti potevano voler dire cose diverse: un turcasso pieno di frecce indicava ora l’approssimarsi di una guerra, ora abbondanza di cacciagione, oppure la bottega d’un armaiolo; una clessidra poteva significare il tempo che passa o che è passato, oppure la sabbia, o un’officina in cui si fabbricano clessidre.
MINUTO 5’03”- Ravenna, basilica di San Vitale. La costruzione della città continua, nella rotazione delle macchine impastatrici ma stavolta la costruzione è imponente, antica, possente come un’astronave atterrata sulla Terra. Con essa anche l’emergere di un tema musicale semplice, arcaico. Intorno alla basilica si stringono costruzioni relative a vecchie costruzioni, un cantiere, un grande buco archeologico.
MINUTO 5’58”- Un tonfo ed eccoci catapultati all’interno della cripta di San Francesco a Ravenna. Un lento e continuo sgocciolìo è il suono del tempo che passa. Lo spazio si allaga, non percorribile da passi umani, ma da un paio di navicelle, a vela, improbabili, dirette verso mete inattuabili. Nelle pareti della cripta si aprono finestre altrettanto inverosimili verso un esterno inesistente.
Kublai Kan s’era accorto che le città di Marco Polo s’assomigliavano, come se il passaggio dall’una all’altra non implicasse un viaggio ma uno scambio d’elementi. Adesso, da ogni città che Marco gli descriveva, la mente del Gran Kan partiva per suo conto, e smontata la città pezzo per pezzo, la ricostruiva in un altro modo, sostituendo ingredienti, spostandoli invertendoli.
MINUTO 7’44”- Un altro tonfo ci catapulta dallo spazio angusto della cripta ad un cielo popolato prima da uccellini “futuristi” e poi da volatili veri, gracchianti, starnazzanti. L’ambientazione è a Dubai, città che ci presenta due facce: un’ avveniristica con gli alti grattacieli e l’altra povera e degradata dove si accalcano baracche, resti di edifici forse abbandonati o in attesa di essere completati. Successivamente gazebi sopraelevati, davanti a pareti ricoperte da fogliame denso e lussureggiante. Emergono lentamente gru per costruzioni: la città mescola, amalgama passato, presente e futuro; desolazione e natura.
Le tue città non esistono. Forse non sono mai esistite. Per certo non esisteranno più. Perché ti trastulli con favole consolanti? So bene che il mio impero marcisce come un cadavere nella palude, il cui contagio appesta tanto i corvi che lo beccano quanto i bambù che crescono concimati dal suo liquame. Perché non mi parli di questo? Perché menti all’imperatore dei tartari, straniero?
MINUTO 9’12”-Scultura contemporanea a Dubai da cui nascono come fiori di calle, vasche candide di porcellana.
Nuovo arrivato e affatto ignaro delle lingue del Levante, Marco Polo non poteva esprimersi altrimenti che con gesti, salti, grida di meraviglia e d’orrore, latrati o chiurli d’animali, o con oggetti che andava estraendo dalle sue bisacce: piume di struzzo, cerbottane, quarzi e disponendo davanti a sé come pezzi degli scacchi.
MINUTO 10’34”- Neanche la cappella del Rosario a Puebla tempestata d’oro, si salva dall’invasione della sporcizia, del rifiuto, della materia maleodorante, dello sfregio del graffito. Ma la sua sfarzosità vince, il degrado batte in ritirata lasciandola di nuovo incontaminata e splendida.
D’ora in avanti sarò io a descrivere le città – aveva detto il Kan. Tu nei tuoi viaggi verificherai se esistono.
Ma le città visitate da Marco Polo erano sempre diverse da quelle pensate dall’imperatore.
MINUTO 11’46”- La rete sospesa che connette edifici moderni, ponte rovesciato rispetto al ponte sottostante, si trasforma velocemente in rete sospesa sull’abisso. Gli edifici si trasformano in rocce, baluardi cupi e temibili. La rete al contrario, riesce a sostenere un intero grattacielo.
È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.
MINUTO 12’52”- Una plicata grossolana tela di sacco funge da cielo basso, opprimente, che si trasforma gradualmente in un tappeto fiorito, multicolore.
Perché il passato del viaggiatore cambia a seconda dell’itinerario compiuto. Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più di avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
MINUTO 14’04”-Le botteghe del mercato di Puebla, un santo al centro di una fontana, una luna nascente su un cielo stellato si rivela gradualmente astrolabio.
Al contemplare questi paesaggi essenziali, Kublai rifletteva sull’ordine invisibile che regge le città, sulle regole cui risponde il loro sorgere e pender forma e prosperare e adattarsi alle stagioni e intristire e cadere in rovina. Alle volte gli sembrava d’essere sul punto di scopre un sistema coerente e armonioso che sottostava alle infinite difformità e disarmonie, ma nessun modello reggeva il confronto con quello del gioco degli scacchi.
MINUTO 15’46”- Le case coloratissime, festose, di Puebla una strada a misura d’uomo, vasi e piante curate, ordinate. Possono però comparire anche enormi rose, grandi come case, persone, alberi.
Ormai Kublai Kan non aveva più bisogno di mandare Marco Polo in spedizioni lontane: lo tratteneva a giocare interminabili partite a scacchi. La conoscenza dell’impero era nascosta nel disegno tracciato dai salti spigolosi del cavallo, dai varchi diagonali che s’aprono alle incursioni dell’alfiere, dal passo strascicato e guardingo del re e dell’umile pedone, dalle alternative inesorabili d’ogni partita.
MINUTO 17’08”- La cattedrale di Puebla, il vulcano Popocatépetl in attività, un cielo cobalto che preannuncia il sopraggiungere del Tempo, delle clessidre, dei quadranti, degli strumenti per misurare la durata, lo spazio.
Io parlo parlo, - dice Marco, ma chi mi ascolta ritiene solo le parole che aspetta. Altra è la descrizione del mondo cui tu presti benigno orecchio, altra quella che farà il giro dei capannelli di scaricatori e gondolieri sulle fondamenta di casa mia il giorno del mio ritorno, altra ancora quella che potrei dettare in tarda età, se venissi fatto prigioniero da pirati genovesi e messo in ceppi nella stessa cella con uno scrivano di romanzi d’avventura. Chi comanda al racconto non è la voce: è l’orecchio.
MINUTO 18’42”- Sulla voce narrante di Roy Batty si solleva l’immensa, spropositata Rosa Meditativa , opera pittorica di Salvator Dalì. Un paradosso visivo, presa a simbolo del surreale, dell’oltre-reale. Il racconto del replicante si confonde con il racconto di Marco Polo. Entrambi hanno visto “cose che noi umani non abbiamo visto”.
MINUTO 20’14”- L’ultima comparsa della città iper moderna, azzurra, in cui gli altissimi grattacieli sfidano il cielo, come gigantesche stalattiti al contrario. Qui la città specchia realmente se stessa, per popolarsi però, nello sfondo, di giganti ruote di giostra e, contemporaneamente, da ogni balcone e finestra dei grattacieli, di vermiglie rose rosse che ne vivificano l’atmosfera astratta, perfetta, pura ma asettica.
MICHELA MOLLIA