Ottobre 2018 - Villa Ghigi a Bologna indietro
Ottobre 2018 I grandi alberi di Villa Ghigi all’ora del tramonto
Sembra esserci nell’uomo, come negli uccelli, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove.
(Marguerite Yourcenar)
Pomeriggio di un fine settembre appesantito da una calura in grado di titolarsi ancora agostana.
Siamo a Bologna in piazzetta Giardino Norma Mascellani, uno degli ingressi del Parco di Villa Ghigi.
Alle 17 di pomeriggio è già nutrito il gruppo di persone interessate all’originale iniziativa Vivi il verde I grandi alberi in parole e musica all’ora del tramonto.
Sarà una passeggiata con informazioni botaniche e storiche, arricchita da riferimenti letterari. A conclusione un breve concerto di musica barocca dell’ensemble Josquin Friends davanti alla grande roverella.
Una pianta di ippocastano a custodia del parco offre lo spunto per un dialogo di lingue. Ci accompagneranno lungo il percorso di visita al parco il direttore della Fondazione ed una sua valente collaboratrice, più che degni ciceroni ed affabili padroni di casa.
Il primo assaggio letterario palpita dell’umbratile tristezza di Cuore di legno, poesia scritta da Primo Levi, ad una pianta di ippocastano appunto dedicata. Sembra concentrarsi in quei versi un dolore calpestato, forse, dal ricordo, spina e veleno di giorni contati e faticosamente strappati alla vita.
Il mio vicino di casa è robusto./E’ un ippocastano di Corso Re Umberto./Ha la mia età, ma non la dimostra./Alberga passeri e merli, e non ha vergogna,/in aprile, di spingere gemme e foglie./Fiori fragili a maggio,/a settembre ricci dalle spine innocue/con dentro lucide castagne tanniche./E’ un impostore, ma ingenuo: vuol farsi credere/emulo del suo bravo fratello di montagna/signore di frutti dolci e di funghi preziosi./Non vive bene. Gli calpestano le radici/i tram numero otto e diciannove,/ogni cinque minuti, ne rimane intronato./E cresce storto, come se volesse andarsene./Anno per anno succhia lenti veleni/dal sottosuolo saturo di metano/E’ abbeverato d’orina di cani./Le rughe del suo sughero sono intasate /dalla polvere settica dei viali./Sotto la scorza pendono crisalidi/morte che non diverranno mai farfalle./Eppure nel suo torbido cuore di legno/sente e gode il tornare delle stagioni.
La passeggiata all’interno del Parco, complessivamente quasi 28 ettari estesi sui primi rilievi collinari in Bologna immediatamente fuori porta S. Mamolo, permetterà poi ulteriore meticciamento. Saranno i versi di Ovidio, dei poeti giapponesi, i riferimenti all’Amleto ed al Macbeth ad accostarci alla severa bellezza del tasso ed alla nodosa plasticità di un libocedro. Non solo dunque passeggiata frondosa fra gli alberi, in un fine settembre che anticipa il mese agli stessi(alberi) dedicato, ma anche e soprattutto la possibilità di godere della buona naturalità offerta dal parco, un perfetto esempio di paesaggio collinare.
In uno spazio relativamente limitato s’incontrano notevoli esemplari arborei autoctoni: roverelle, carpini neri, un annoso cedro dell’Himalaya, un bellissimo esemplare di tasso. Si alternano a filari di vecchi alberi da frutto e ad una faggeta.
Poco discosto dall’entrata, salendo un vialetto, primo di altri viottoli che ci metteranno un po’ alla prova, troneggia un ginko biloba. Pianta antichissima, arcaica, risillaba nell’etimo giapponese di albicocca d’oro il rinnovato incontro con il tardo autunno donandogli un tappeto di foglie dorate.
Duecento anni fa circa Goethe scrisse una lettera a Marianne Jung, all’interno della quale vergò una poesia ed aggiunse due foglie di Ginkgo biloba.
La foglia di quest’albero d’Oriente/affidato al mio giardino/Delizia il sapiente/coi suoi significati nascosti/E’ un essere unico/diviso al suo interno?/O sono due che hanno scelto di unirsi/così da sembrare uno?/Cercando la risposta/ ho trovato un sentore di verità/Non senti nei miei canti/che io sono uno eppure doppio?
Altrettanto imponente il libocedro; richiama ricordi di films di indiani che sfuggono ai loro storici nemici, i cow boys. Nodoso e scortecciato il tronco, una veste che sa di aspro: ai suoi piedi piccoli frutti rossi intrigano alla ricerca di un sapore forse scordato. Premurosa una mamma ne toglie la buccia ad alcuni offrendoli poi, dono giocoso e gioioso, alla piccola figlia.
E’ sorpresa per entrambe. Poi cupo ed imponente il tasso, detto anche l’albero della morte. I brani che ce lo raccontano spaziano nel tempo: attimi che si moltiplicano, concentrando nel ritmo della poesia immagini che scorrono fluide nelle parole, per afferrare quella nostalgia del tempo andato che nel tramonto lentamente sfarina di luce rosata il cielo.
L’intermezzo musicale con il quale si conclude l’iniziativa è l’ultimo tocco, sospeso, mentre una bimba attirata dall’incanto della musica si distende sull’erba.
Felicemente libera.
Rita Farneti
Nota di riferimento
Primo Levi, Cuore di legno, in Poesie
J.W.Goethe, Ginko biloba, in Il Divano occidentale orientale
Il termine "ginkgo" deriva dal giapponese Yin-kuo, che significa albicocca d'oro; "biloba" si riferisce invece alla forma della foglia, più o meno bilobata.