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Garden Club

Le pinete di Ravenna indietro

 

Articoli e fotografie della pineta Ramazzotti devastata dall'incendio in luglio del 2012:


- Le recenti vicende ci fanno tornare alla mente le parole dell'Ing. Guido Umberto Maioli (autore di "Quando noi nonni" e di altri testi su Ravenna) quando l'industrializzazione degli anni 50, 60 sacrificò intere zone pinetali : "Forse coloro che verranno dopo di noi troveranno più mirabile una selva di ciminiere, di tralicci, di torri punta-radio che non una selva di pini.
E troveranno forse i sentori dell'ammoniaca, dell'acido solforico, del petrolio più inebrianti dei vecchi profumi di resina o delle madreselve e delle acacie in fiore, che sanno di miele in bocca:"

Dopo 50 anni di cambiamenti strutturali del territorio, ci troviamo nella necessità di difendere quello che è rimasto e di ricostruire quello che è stato dolosamente distrutto per tramandare ai posteri esempi di ambienti naturali, che testimoniano un'evoluzione secolare.

 

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- Segnaliamo l'articolo di Paolo Bezzi, Primo Massaro della Casa Matha, pubblicato da La Voce in data 4 agosto 2012.

Paolo Bezzi (Casa Matha)
“Al bando i localismi, la pineta bruciata non appartiene al Comune di Ravenna”

Anche Paolo Bezzi, Primo Massaro della Casa Matha, dice la sua sulla pineta bruciata, inviando una nota dal titolo eloquente “Biodiversità oltraggiata: per saperne di più”.
“Il devastante incendio - scrive Bezzi - ha prodotto un pesante danno economico e sociale e sollevato un vasto dibattito pubblico. Non vogliamo entrare nel merito delle motivazioni di quel gesto criminale, ma intendiamo fornire un pratico supporto conoscitivo per un miglior apprezzamento dei valori naturalistici delle Riserve mettendo gratuitamente a disposizione di Enti, Associazioni e studiosi copie dei materiali prodotti dall’associazione di volontariato L’ARCA nell’ambito dei censimenti floristici dei biotopi della fascia costiera di Ravenna. In questi Quaderni Ibis (acronimo di Inventari della Biodiversità specifica) editi sotto l’egida del Parco del Delta e del Comune di Ravenna, per la cui stampa ha contribuito in massima parte Il Parco, ma anche la Casa Matha, sono elencate tutte le specie botaniche della flora vascolare rintracciate nel corso di decenni di escursioni. Il dibattito apertosi dopo il rogo deve potersi avvalere delle ricerche condotte per una migliore conoscenza del nostro patrimonio e, se da un lato, appare comprensibile l’intento di ricostruire la pineta ‘come l’ha voluta Rava’, dall’altro appare ancora più importante sapere com’era diventata dopo oltre cent’anni di vita. Cent’anni in cui l’Ecologia forestale, ma ancor più la Natura, hanno trasformato un rimboschimento quasi monospecifico di Pino marittimo in un ecosistema forestale complesso. In conclusione, la biodiversità oltraggiata dall’incendio non può essere oltraggiata anche da visioni anacronistiche e da progetti di respiro locale, dimenticando che questo patrimonio è dello Stato Italiano (non del Comune di Ravenna…) e come tale va gestito nell’interesse di tutti”.


 

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MARIELLA BUSI DE LOGU

 Gli Alberi erano Dei
Lo splendore dell'innocenza si oscurò e gli occhi divennero ciechi.

Adesso sono sotto al grande abete. Il cuore inizia a battere forte. Conosco la sua anatomia millimetro per millimetro. Non ho mai conosciuto e mai frequentato con tanta intimità nessun'altra creatura. Alzo gli occhi alla ricerca della mia casa. Quella di fronte è la casa dei nonni, quello in cima all'abete è il mio rifugio. Lassù c'è la mia casa e la sua custode... Le innumerevoli bambine che nella mia infanzia condividevano un corpo solo, il mio, con la loro profetica cecità stanno fissando nella mia memoria quello che mi ha preceduto e ciò che sta accadendo ora, una sorta di imprinting,un regalo dell'infanzia... Ora stanno creando un singolare andirivieni dall'albero, sull'albero, nell'albero. Lassù, tra cielo e terra, depositano ai piedi della custode della mia casa il loro lavoro di quotidiana conservazione. E lei, la mia custode, accumula e sedimenta in tutto il corpo, fin nelle periferie estreme, tutto il sapere che quotidianamente le viene donato...

Ho riportato alcune frasi del racconto Via Forcole nel quale parlo della mia infanzia, a Fano, nella casa dei nonni. Anche in questo momento vedo quel luogo come la mia fucina, come la storia delle mie verità. Ancora ascolto quelle "innumerevoli bambine che condividevano un corpo solo, il mio" e così mi rivedo aggrappata al primo ramo del grande abete, pronta a spiccare il volo. Apparentemente sola, sono ancora lì intenta a studiare gli ulteriori passi per arrivare alla mia casa. Porto lassù cuscini corde cibo libri e nell'ascesa divento una creatura dell'albero. Imparo a conoscere la perfezione geometrica dei suoi rami, il suo profumo, la sua consistenza, la vita intensa dei suoi ospiti che qui, come me, hanno la loro dimora.

L'abete possiede una struttura perfetta; il tronco ha una base larga che affonda nella terra le proprie radici per ricavarne maggior linfa vitale possibile per poi restituirla al microcosmo che lo circonda. Le braccia ampie sono tese verso un potente abbraccio e pronte a ricevere e a proteggere. Come una spirale alleggerisce il suo corpo verso l'alto fino a segnare il cielo con la cima. E io sto quassù a contemplare il mare e assorbo la sua fatale qualità. Questo abete ha piantato per me le sue radici nel giardino e io, riconoscente, contraccambio.

Come mi ha sussurrato poi Ildegarda, il mio spirito nella visione sale in alto fino alle stelle in un'aria diversa, si dilata e si allarga sulle terre... Nella visione vedo diversamente e guardo le vicende mutevoli delle nuvole e delle altre creature... Tengo gli occhi del corpo aperti, non perdo coscienza e guardo la realtà da sveglia di giorno e di notte. Quassù, avvolta e protetta dall'albero, non sento rumori, neanche quelli degli abitanti della casa dei nonni; soltanto la necessità può vincere la paura della risalita. Gli altri non troveranno la strada, non riconosceranno l'unica via che, all'interno del labirinto di rami, conduce alla mia casa.

Ma con la mente posso andare ancora più lontano nel tempo. Nella parete accanto al letto c'è un acquarello di mia zia Maria. È del 1946 quindi non avevo ancora cinque anni. Rappresenta una di quelle serate invernali in cui noi tre sorelle, sedute accanto alla stufa, ascoltavamo - rapite - i racconti del babbo. Quella sera ci parlava di quando suo nonno, guardia forestale, lo portava con sé nella pineta di Dante. Allora, nel primo decennio del secolo scorso, la pineta era ancora selvaggia e incontaminata ed era abitata da quegli animali legati ad un magico primario, come "il biscione dalla cresta". Si, ascoltavamo - rapite - perché mio babbo riusciva, con la parola, a prenderci per mano e condurci nei luoghi misteriosi della sua infanzia dove la realtà era intimamente legata al mito.

Le divinità della pineta; gli alberi, le piante e i suoi animali. Che gli Alberi fossero Dei precipitati dal cielo per renderci felici l'ho appreso per via diretta da mio padre e ora tento di restituire. Ed è per questa via che ci sono fatti miei contemporanei che sono la esatta conseguenza di eventi prima di me. Tali sono i percorsi dell'infanzia e dell'adolescenza. Nell'infanzia l'incontro leggendario con la pineta, con l'albero e la mia vita nell'albero, nell'adolescenza il bosco, il riposo con lo sguardo alle stelle e l'illusione di essere loro sorella. La stranezza della percezione infantile e l'errore veggente dell'adolescenza, l'incontro della conoscenza con la coscienza mi hanno condotta fin qui.

E quando l'estate scorsa mi è stato chiesto di creare un evento nella pineta di Dante in occasione della giornata di lutto cittadino per l'incendio che ne ha distrutta gran parte, le mie mani e la mia mente erano già attrezzate ad uno sguardo che vede nella cenere e nei corpi dei pini bruciati antiche parentele di sangue. C'è così tanto di loro in me che nel processo creativo mi ha guidata una possente passione. Passione che ha la sua origine nel termine passus, participio passato di pati, patire.

Patire la sofferenza di un mondo di esseri viventi ai quali, con tanta violenza e determinazione, viene recisa la condizione della crescita, nell'atto irripetibile del germogliare. Un atto ininterrotto; ecco il pino nel ciclo delle stagioni, ecco la vita dei suoi ospiti. Un microcosmo che si moltiplicava nell'atto-stato della pineta. Non posso dimenticare una cosa che fa parte della mia vita e non è più nel passato ma è nel presente. Io derivo da queste piante; rivivo tutta la libera traboccante distesa di primavere, di calde estati con un mare di canti. Mi rivedo, con la bicicletta a fianco, riposare con la schiena appoggiata al tronco di un grande albero per ritrovare la fonte della mia vita. A volte accade, così, all'improvviso, un urto che tutto scombina e lascia me, più che viva, superstite. In questa condizione - di superstite - con un carico enorme di memoria è nato allora l'evento "Gli Alberi erano Dei".

Sono ritornata nel luogo della mia genia e ho trovato le immagini di un nuovo girone infernale; cenere e martirio. È proprio così, il fuoco si è portato via anime e corpi. Tutta la carne della materia, in cielo, al mio sguardo rimangono monconi scheletriti. Qui i grigi lunari della cenere e l'opaco e scuro colore della pineta defunta; lì vicinissimo il mare azzurro intenso. Eppure, anche ora, di fronte alla morte che l'ha oscurata, non mi ritraggo e racconterò, ancora una volta, il grande inganno.

Sola, con i piedi ben ancorati nella cenere, ecco quello che vedo. Questo luogo è il mio centro d'azione; alla mia destra il coro, vicino a loro la voce solista, a sinistra i musicisti. Qui al limite della pineta, dove ora i pini sono carboni neri, siedono le ragazze vestite di rosso - passione con accanto secchi di metallo e lunghe canne con in cima sagome di pettirossi. Attorno a me, nell'abisso della morte, a condividere il dolore di un lutto, ci sono tutti; amiche, amici, artisti e artiste erranti. Ora possiamo iniziare.

La mia, più che un evento, è un'opera breve e il mio desiderio è quello di dirigerla ma sono timida, non ci riuscirò mai. Eppure la sento e la vivo come una partitura musicale. Allora, l'opera breve inizia con una farfalla che vola, una canzone dialettale, tradizione popolare che evoca il tempo della memoria. Alla fine del canto cinque battiti di silenzio. Ad un mio cenno le ragazze seguendo un canone preciso creano, agitando i secchi che contengono sassi, un suono disarmonico. Annunciano così, l'attuale distruzione della natura, perpetrata da sguardi accecati. Da questo momento l'evento acquista un andamento corale. I musicisti e il coro, infatti accompagnano e segnano il tempo dell'azione delle ragazze. Le vedo venire verso il luogo del sacrificio con le loro lance e infilarle in questa fossa che fino a pochi giorni fa conteneva le radici di un essere vivente. Una colomba dall'anima gigante, ecco che cos'è l'essenziale qualità dell'albero, in questa circostanza, un pino. Il percorso delle ragazze è un continuo andare e venire, un continuo ritorno nel luogo dove vivevano antichi guerrieri, vinti; senza più nidi e senza più stagioni d'Alcione.

L'evento è un crescendo di suoni, voci, azioni. Le ragazze formano un cerchio dove la cenere è più spessa. Si inginocchiano e danno libero sfogo alla disperazione di un lutto che vorrei interrogasse le nostre coscienze. Mi rivedo a Bologna, in Santa Maria della Vita, di fronte alle sette statue in terracotta policroma del Compianto di Niccolò dell'Arca e mi ritrovo nella disperazione di quelle figure femminili. Lì il pianto per il Cristo morto, qui il pianto per la morte che tutto oscura. Qui non c'è resurrezione. Ora le ragazze, con il corpo e il viso di pura cenere, si dirigono verso il pubblico e con le mani, ne segnano il volto. Riprendono poi le aste e ritornano a fianco di quelle figure informi che ieri erano Dei. E si fanno, per passione, vigili testimoni.

 

 

 


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- Alcune testimonianze fotografiche dello scempio compiuto dall' incendio doloso:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ma, nonostante tutto, la vita riparte........

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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- Articolo di Giovanni Zaccherini pubblicato da La Voce in data 2 settembre 2012.

UN VERSO PER RIDESTARE LA PINETA FERITA
Non bastano il “lutto civico”, il generoso volontariato degli “Amici del Parco”, o le parole del sindaco: “La pineta va trattata come un monumento Unesco” con le purtroppo inevitabili restrizioni al suo accesso. Si dice anche, giustamente, che è indispensabile un’opera di sensibilizzazione civica alla conoscenza e alla difesa del nostro insostituibile patrimonio naturalistico, a partire dall’esempio che devono dare le istituzioni, ma se, come mi è capitato di vedere recentemente in uno stradello della pineta di Marina Romea, dal camioncino del Corpo Forestale, esce un autista che brandisce tranquillamente una sigaretta… allora tutto si fa maledettamente più complicato. Allora, chiediamo soccorso alla poesia, al suo potere magico di raggiungere emotivamente il nostro cuore e farci introiettare il suo messaggio d’amore e di speranza.
Questo mi suggerisce la toccante lirica che Eugenio Vitali, uno dei nostri poeti più apprezzati anche a livello internazionale, ha indirizzato al sindaco della città: “AMATA PINETA”: “Rigogliosa eri / con le verdi chiome / che danzano al vento / con i tuoi fusti centenari. / Con vibranti canti / moltitudini di fauna tenevano concerti / anche alla cupola del cielo. / Gigante eri, verde faro inestinguibile, / simbolo dei simboli. / Ora a quella mente buia / pongo una domanda: perché? / Dopo millenni l’occhio magico del cielo / si interroga ancora, chi è costui / che continua a rigenerarsi / con la mano di Caino! / Amata pineta di Ravenna / dai silenzi ancestrali, / sei più del tuo nome, un porto verde sull’infinito / e nelle sere di calma ancora balli / con arcobaleni e le stelle. / Ora con le tue ferite / mi riesplode ancora in petto / il dolore che porta per te la vita”.
Ma il poeta, come si sa, ha intuizioni sottili che possono anche sconfinare nella preveggenza, come in questi versi, sempre di Eugenio Vitali, della sua raccolta del 1999, “Gli occhi del tempo”: “Tutti tacquero abbagliati dal dio soldo, / nel vedere la terra bruciare senza fuoco. // C’era verde qui, c’erano le rondini, / c’era vento che componeva onde più del mare / c’era azzurro nelle nostre mani più del cielo, / era un altro sangue che remava nell’uomo / il suo respiro, / remava la terra alla sua foce. // Ride la grande morte / che nel prenderci prima del suo sonno / ipnotizza le ali della vita. // Tutti in piedi, / davanti a noi / passano l’uomo e l’ignoranza”.
Quella stessa colpevole ignoranza che il poeta denunciava nel lontano 1981, in “Ravenna la Durata di un Trapasso”, dopo che lo scempio di una miope industrializzazione aveva cancellato tanta parte dell’identità della città: “Venite a Ravenna / venite a conoscere San Vitale / l’ultima pineta di Dante / venite ad odorare il concime / che si fa muraglia nel cielo / venite a scoprire i tramonti / ad annusare la resina dei pini / cacciati dalla mano tecnologica / venite a consumare la fauna / dove il canale Corsini brucia nel mare / venite a pregare senza timore / …venite a rincorrere le auto / che chiudono le strade / venite dove l’uomo è tutt’uno col tempo / da spaziare verde alle stelle / venite a vedere le valli che hanno le stigmate del ferro / venite ad ascoltare il tuono dell’Anic / che di notte si esilia nel cielo / venite a lasciarci / ci stringeremo la mano / dove la terra si sta rompendo per sempre”.
Giovanni Zaccherini

 

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Riportiamo uno scritto di Elisabetta Gulli Grigioni pubblicato sulla rivista Risveglio Duemila del 22 novembre 2013:
ICONOGRAFIA. Figure e segni di protezione celeste/108
VOLI DI ANGELI SULLA PINETA
di Elisabetta Gulli Grigioni

Il primo dicembre prossimo, nella pineta Ramazzotti di Lido di Classe distrutta dall’incendio del 19 luglio 2012 verranno messe a dimora alcune piante per iniziativa, in collaborazione, del Corpo Forestale e dello Stato e dei Lions Club ravennati. E’ bello pensare che su questa iniziativa, come su precedenti analoghe ispirate al “decalogo” stilato dal Sindaco all’indomani del disastro, si stendano a tutela della generosa operosità umana eterei e protettivi voli angelici. L’idea mi è venuta osservando, nel riordinare alcune carte, la piccola ma bellissima testata del periodico mensile “La Madonna Greca” nel numero 10 dell’Anno II, 15 ottobre 1924, che è oggetto della presente rubrichetta. Non conosco l’arco temporale durante il quale il periodico uscì con questa immagine illustrativa del titolo, ma non dovrebbe essere difficile rintracciare i dati poiché l’intera collezione sarà certo presente nelle biblioteche cittadine. La raffigurazione, che presenta un volo di angeli svolto in linea orizzontale sopra gli ombrelli della pineta in direzione della lastra di marmo
giunta miracolosamente a Ravenna e oggi conservata e venerata nella chiesa di Santa Maria in Porto con la denominazione di Madonna Greca, è firmata Giovanni Guerrini. Nel momento in cui trovai lo sgualcito opuscolo su una bancarella del “mercatino” antiquario di Ravenna, nulla sapevo di Giovanni Guerrini artista del quale imparai a poco a poco a conoscere l’importanza fino a coglierla pienamente attraverso il libro di Elisabetta Colombo Guerrini- Giovanni Guerrini , poeta dell’immagine, pubblicato del 2011. Il titolo non potrebbe essere più rispondente al contenuto del libro, che presenta in 159 pagine di riproduzioni fedeli ai bellissimi colori e a tutti i preziosi particolari, le opere di illustratore che l’artista, nato a Imola nel 1887, disegnò o incise per importanti riviste italiane come “Emporium”, per manifesti di mostre, per copertine di libri. Penso che si debba riflettere sul fatto che nel 1924, anno in cui uscì il periodico qui riprodotto, Guerrini, che operò e insegnò anche a Ravenna, risultava vincitore del concorso per i manifesti della Biennale di Monza ed era chiamato a dirigere L’Accademia di Belle Arti di Perugia. Il Guerrini, “poeta dell’immagine”, con questa sua creazione elegantissima, grazie a una non comune capacità di elaborazione del simbolo, ha fatto anche un piccolo intervento di teologia della devozione: completando la notissima rappresentazione che fissa (in dipinti, stendardi, incisioni) il momento dell’arrivo dal mare dell’icona sorretta da angeli in volo verticale, con il momento successivo dell’affermazione del culto. Gli angeli in volo orizzontale, liberi dal precedente compito di portatori celesti, recano al simulacro steli e ghirlande di fiori o congiungono le mani in preghiera stendendo, con il loro volo orizzontale, una cortina di protezione sui verdi ombrelli della pineta.
cuoribonda@alice.it

 

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Anche l'artista ROSETTA BERARDI esprime il suo dolore per la pineta bruciata.

Scritto tratto dal BLOG di Rosetta Berardi

E' stata inaugurata  venerdì 15 novembre alle ore 18 alla Ninapi – nesting art gallery in via Pascoli 31 Ravenna, STRAPPI di Rosetta Berardi a cura di Chiara Fuschini, testo di Daniele Torcellini. La mostra installazione presenta opere inedite realizzate dal 2012 ad oggi.
STRAPPI è il tema su cui l’artista sta elaborando da qualche tempo la sua ricerca fotografica e pittorica.
Lo strappo è sempre una lacerazione. Se uno strappo è vero non si può ricucire nel senso che la ferita che lo strappo determina cambia la vita. Può distruggerla. Ma può essere la condizione della salvezza.
Lo strappo crea sempre angoscia. Sia che si tagli il cordone ombelicale sia che si rompa la regola. Può essere eccezione che conferma, oppure trasgressione. Particolarmente drammatico è lo strappo inconscio, più noto come rimozione.
Strappare può essere sinonimo di ottenere. Lo strappo, per Rosetta Berardi, è uno squarcio dal quale puoi intravvedere la luce.
Metà delle opere in mostra è della serie NOI ERAVAMO PINI.
Ecco che l’incendio di una pineta rappresenta per l’autrice uno sfregio a quell’arte divina che è la natura e l’artista sente il bisogno quasi di una catalogazione o archiviazione dei “monumenti” andati in fumo.
I colori scelti sono il bianco e il nero. Non c’è assenza di cromatismo, giacché il rapporto pittorico tra il bianco e il nero è l’essenza del cromatismo. Come se il confine tra pittura e fotografia non esista più. Il bianco e il nero, entrambi sintesi di tutti i colori, preludono al loro contrario e pretendono la rinascita di quel mondo strappato.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IL GRUPPO FUNGHI&FLORA di FORLIMPOPOLI ha organizzato una visita alla pineta: da Lido di Dante alla Foce del Bevano il giorno 13 gennaio 2013 .Questo il materiale che è stato distribuito agli oltre 50 partecipanti:

 

Scarica la mappa dell'itinerario della visita alla pineta del 13 gennaio 2013

 

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Mercoledì,22 Gennaio 2025

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